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“Il problema Spinoza” di Irvin Yalom

Written by Foglio Spinoziano on . Posted in blog

Il problema Spinoza
Recensione a cura di Paola Teresa Grassi

Per molto tempo ho atteso che la penna di Irvin Yalom incrociasse finalmente la filosofia di Spinoza.
Il mio primo incontro con lo psicoterapeuta californiano lo devo a Ran Lahav che nel 2003 mi indirizzò verso The Gift of Therapy, una lettura per la quale ancora ringrazio il consulente filosofico israeliano.
Solo con le versioni italiane dei romanzi di idee editi da Neri Pozza, invece, ho conosciuto Yalom narratore.
Ed ho ritrovato quella benevolenza e quella autentica felicità del maestro di vita ed esploratore del Sé insieme al proprio interlocutore, che di rado riesco ad incontrare nelle voci provenienti da una vasta letteratura “psicoide”.
La cura Schopenhauer mi ha fatto esultare all’idea (ancorché finzionale) di un lavoro di rete fra un philosophical practitioner e uno psychiatrist, una circostanza che da sempre mi appare come l’unica via ragionevolmente percorribile per una relazione consulenziale filosoficamente orientata. Le lacrime di Nietzsche mi hanno confermato (il plurale del verbo non è un refuso) che quella idea ha radici antiche e non unicamente freudiane (il che è vero anche a livello non finzionale). Con l’ultimo romanzo attendevo la realizzazione di quel balzo filosofico al di là della psicoanalisi attraverso lo spinozismo già preconizzato da Lou Andreas Salomé.
Il che non è accaduto, quanto meno non a livello di trama.
Il problema Spinoza non imbastisce il racconto di quel balzo ma offre l’opportunità di compierlo.
Le due narrazioni che definiscono l’insieme procedono parallele senza punto d’incontro tranne che nella biblioteca della casa di Rijnsburg ma in entrambe v’è modo di riflettere e di compiere una esercitazione del filosofare nella chiave dello spinozismo.
Ed è questo probabilmente il vero merito di un romanzo che in quanto tale non dice pienamente.
Il vero protagonista è il lettore che in tutte le conversazioni immaginate da Yalom viene chiamato ad un discreto impegno nel comprendere il pensiero e il modo di pensare di Spinoza.
In che modo il filosofo olandese è un problema?
Lo è per Alfred Rosenberg il nazista di origine estone la cui vita è definita da un inguaribile enigma confezionato per lui dal destino nel 1910 con la lettura della autobiografia di Goethe (dove l’Etica era cura per l’anima) che diventa punizione e (tentativo di) cura del più odioso razzismo. Lo è per la comunità ebraica sefardita di Amsterdam del 1656 entro cui coltiva la sua genialità il giovane Baruch Spinoza la cui ricerca di una vita santa illuminata dalla ragione è reazione inaccettabile.
Le due anime del Ventesimo secolo (la psicoanalisi e l’antisemitismo) attraversano parallele le pagine del romanzo (quasi due in uno) senza mai intersecarsi. Evidentemente un particolare non irrilevante.
E non poteva andare che così anche se per questo motivo mi sono congedata dalle ultime pagine infastidita per non avere intravisto almeno in conclusione un qualche raccordo di destini. La delusione di un momento, in realtà, poiché nella distanza ho compreso che lasciando aperta la rete di correlazioni Yalom permette al lettore di compierla.
E comunque i motivi di compiacimento non mancano restituendo equilibrio alla lettura.
La trovata scenicamente (mi verrebbe da dire) più intrigante è quella che innesca lo herem e come in un plot di spie shakesperiane prende vita la versione marrana di Rosencranz e Guildenstern nei nomi di Jacob Mendoza e Franco Benitez.
Ed è una fede indebolita da una liturgia insensata a dare il via ad una consulenza spirituale (e uso questo aggettivo in maniera consapevolmente hadottiana) che, nata dal tradimento, finirà col sigillare un legame fraterno.
Il sigillo è quello ben noto della rosa attorno al lemma latino Caute.
Il monito (intenzionalmente ignorato da Spinoza) viene qui incarnato da Franciscus van den Enden leader panciuto e compiaciuto (quasi un Falstaff per restare nella metafora shakespeariana) di una vera e propria accademia filosofica alla maniera degli antichi, dove il confronto con il pensiero di Epicuro diventa dialogo attivo e dove anche le donne (la tredicenne Clara Maria) hanno modo di esprimere le loro potenzialità di trasformazione. Elemento di cui gioire e con cui dare una pennellata di colore alla “pagina nera” del Trattato Politico per la quale ancora s’infuriano le femministe.
Mesta rimane la nota dell’allontanamento e nei particolari vedere che quella santità figlia dell’ebraismo sulla quale Spinoza modella il proprio desiderio di vita non può concretarsi nel ventre della sua comunità ma in un doloroso isolamento che nemmeno la sua filosofia riesce a rendere accettabile fino in fondo.
Su questo punto però l’autore non lascia da solo il suo protagonista affiancandolo ad un interlocutore narrativamente e caratterialmente straordinario, un fratello di fede ritrovata per il quale il filosofo diventa in alcuni momenti consultante ed in altri consulente.
E proprio nella relazione consulenziale prende parola quell’idea spinoziana di un Dio-Natura che attraversando le epoche arriverà fino a Goethe.
Eccoci dunque ad incontrare la penitenza dell’altro protagonista (quello dell’altro romanzo del romanzo).
Il giovane antisemita Rosenberg non riesce ad accettare che il genio germanico del poetare abbia potuto ammirare un ebreo e finanche modellare la sua grandezza nella chiave di una filosofia nata da mente ebraica.
La medicina che il preside Epstein aveva indicato come cura dell’antisemitismo non può nulla per un pensiero già avvelenato dal razzismo. Anzi, veleno alimenta veleno. E la parabola esistenziale di un individuo già tipologicamente privo di interesse nei confronti dell’altro finisce dominata da quest’unico interrogativo e dal tentativo di individuare una ragione razzista per questo paradosso. Fino a diventare malattia mentale.
È qui che l’autore interviene concependo un altro tipo di interlocutore nella figura di Friedrich Pfister (un immaginario allievo di Karl Abraham) che segue la genesi e l’esplosione dell’ossessione di Rosenberg.
Lo psicoanalista lascia Berlino per Monaco su ordine di Hitler per diventare vittima della più assoluta ingratitudine da parte del suo inalterabile paziente. E ciò nonostante l’impeccabile lavoro di tecnica terapeutica che (come sempre) Yalom riesce a far agire ai suoi alter-ego.
Ecco dunque che “Il problema Spinoza” diventa il titolo del rapporto dedicato alla confisca dei libri che appartennero al filosofo.
In realtà, anche nell’atto di appropriazione fisica di un enigma inafferrabile, Alfred verrà ingannato dalla sua ignoranza, non sapendo (da filosofo dilettante) che i libri autentici erano stati messi all’asta alla morte di Spinoza e che quelli che stava confiscando erano stati riacquistati grazie all’intervento di George Rosenthal. Un ebreo.
Il problema Spinoza” di Irvin D. Yalom
Neri Pozza, collana “I narratori delle tavole”, 2012, pagg. 448
ISBN 978-88-545-0447-9
Euro 17

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Comments (2)

  • Anonimo

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    Da poco tempo ho iniziato il libro di Yalom su Benedetto Spinoza. Comunque molto tempo fa mi leggevo attentamente le sue opere, Dell' Etica, oltre il concetto di Dio, quale Sostanza infinita…ecc. mi colpì la sua definizione della mente quale IDEA DEL CORPO, si potrebbero dedurre molte cose da ciò, ma circa Dio con la sua assolutezza, e il non aver bisogno di alcuna dimostrazione, bastando averne l'idea come certezza della sua esistenza, poi, il fatto che nel suo epistolario dica che basterebbe distruggere una particella dell'Universo perché tutto venga meno compreso Dio, rendeva problematico veramente il suo pensiero, un professore universitario mi disse che Hegel non è pensabile senza Spinoza, non so quanto questo sia vero, perchè nella sua 'Scienza della Logica' Hegel confuta Spinoza, facendo vedere come portando alle estreme conseguenze la Sostanza si arriva all'universalità del Concetto.Il Dio di Spinoza, scusatemi l'azzardo teorico mi pare un Dio Autistico!, Non so perché. Cordiali saluti: Claudio Castellani. Monopoli.18/01/2015.

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  • Anonimo

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    POICHE' DIPINGO E DISEGNO SIN DA QUANDO ERO PICCOLO DI ETA', RICORDO CHE QUALCHE ANNO FA, PRESI UN FOGLIO DI CARTA DA DISEGNO, E POICHE' AVEVO VISTO DA QUALCHE PARTE L'IMPRONTA DELLE IN UNA GROTTA, LO STESSO FECI IO, E SU DI ESSO (IL FOGLIO), POGGIAI LA MANO, E NE FECI IL . OGGI MI PONGO LA DOMANDA, SAPPIAMO MOLTO DEGLI , DAI VARI REPERTI TROVATI, MA DELLA LORO ORGANIZZAZIONE SOCIALE, COSA MAI SAPPIAMO? UNA PERSONA MI HA DETTO CHE LA PAROLA NON SIGNIFICA NULLA, VA BENE, E SE QUESTI UOMINI PREISTORICI AVEVANO UNA ORGANIZZAZIONE COMUNISTA IN TUTTI I SENSI? POSSIAMO DIRE CON CERTEZZA DI NO? A VOLTE PENSIAMO DI ESSERE MOLTO PIU' CIVILI DI UN UOMO PREISTORICO, MA UN POETA, E I POETI NON MENTONO GRAZIE AL CIELO DISSE CHE MALGRADO LE APPARENZE SIAMO QUELLI DI SEMPRE, PREISTORICI ANCHE . CHE HA CHE VEDERE, CHI LO SA, NEMMENO IO LO SO, MA DENTRO DI NOI CI SONO PIU' RISPOSTE DI QUANTO PENSIAMO, E FORSE DIRE CHE , NON E' POI UN'AFFERMAZIONE CONTRO LA RELIGIONE, DEL RESTO NEL 'TRATTATO TELOGICO POLITICO', SPINOZA AFFERMA CHE IN UNA . POI DICE CHE GESU' NON PUO' ESSERE FIGLIO DI DIO PERCHE' DA CIO' CHE E' INFINITO, NON PUO' VENIRE CIO' CHE E' FINITO; MA CHIAMA GESU' , QUANDO PARLA GESU', POICHE' COMUNICA CON DIO DA MENTE A MENTE, DICE CIO' CHE DIO STESSO PENSA, DEL RESTO MOLTI PASSI DEL 'VANGELO' NON SI CAPIREBBERO SENZA QUESTA IDEA DI SPINOZA CIRCA GESU'.NOI MOLTE MA MOLTE DOMANDE CI PONIAMO, POCHE RISPOSTE ABBIAMO,SOLO IPOTESI IN FONDO SONO. COME MAI MI DOMANDO SPINOZA AFFERMA CHE IL SEMPLICE FATTO CHE IL POPOLO EBRAICO, PRATICHI LA CIRCONCISIONE, CHE E' UN ATTO DI SOTTOMISSIONE A DIO, RENDE QUESTO POPOLO SUPERIORE AGLI ALTRI. CORDIALI SALUTI: CLAUDIO CASTELLANI. MONOPOLI. 20/01/2015. P.S.

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